Con l'annuncio dell'apertura del Concilio Vaticano II (1962), cominciano anni di entusiasmo e di trepidanti attese di quanti erano annoiati dalla liturgia della Chiesa e aspettavano solo l'occasione -come nel famoso detto- di gettar via l'acqua sporca con tutto il bambino.
Come dicono le più pompose apologie del Cammino, nel 1964 il venticinquenne Kiko Argüello, «armato di Bibbia e chitarra», va nei bar di Palomeras Altas a dire alle ex suore (frequentanti tali bar) di aver visto la Madonna.
La messa era ancora in latino: chissà se i due saranno andati a messa prima o dopo quella conversazione al bar. Sono certo, però, che in entrambi i casi avranno partecipato a quella messa con sentimenti di fastidio e di deprecazione.
La liturgia di san Pio V, quella "tutta in latino", andava necessariamente riformata per eliminare il problema oggi etichettato -a torto o a ragione- "rubricismo". E' ovvio che "riformare" non significa "cambiare drasticamente", ed è noto che le indicazioni per la riforma liturgica erano venute dal primo (e meno letto) documento del Concilio Vaticano II: la Sacrosanctum Concilium.
Nel marzo del 1965, appena tre mesi dopo la Sacrosanctum Concilium, fu pubblicato un messale contenente proprio le riforme sulla linea di quanto indicato dal documento (e dunque il Pater Noster andava recitato tutti insieme, le letture erano possibili anche in lingua parlata, e così via).
Dato che quel messale non si discostava sostanzialmente da quello precedente (promulgato da Giovanni XXIII nel 1962), la voglia di riforme non venne saziata, e pertanto anche ai vertici più alti venne considerato provvisorio, così da procedere ad una riforma liturgica più massiccia (quella che verrà poi promulgata nel 1970).
Dunque dal 1965 al 1967 l'ex aspirante pittore («giovane bigotto cursillista», come lo definisce Carmen Hernández) e l'ex suora (mandata via perché incapace di obbedire), impegnati nell'evangelizzazione a modo loro dei baraccati di Palomeras Altas, avranno gustato anche questo messale della Sacrosanctum Concilium, il "messale del Concilio".
Avranno gustato quella messa in latino con le letture in spagnolo, avranno cantato il Pater Noster (in latino) insieme al celebrante, saranno stati liberi di andar via dopo la benedizione senza aspettare la lettura dell'ultimo Vangelo (il rito precedente prevedeva la lettura del Prologo del Vangelo di Giovanni al termine di ogni messa).
Ma sospetto che abbiano provato gli stessi sentimenti di qualche anno prima: «non basta! non basta! bisogna riformare! riformare!» Niente male come inizio di un'esperienza religiosa: il deprecare la liturgia...
Dobbiamo chiederci, infatti, cos'era esattamente il Cammino Neocatecumenale in quegli anni: o non aveva nessun legame con la liturgia cattolica (funzionando solo come "catechesi": Bibbia, chitarra, ed elucubrazioni del momento), oppure Kiko e Carmen avevano già cominciato a straziare la liturgia quando era ancora in vigore quella in latino (col sostegno di preti compiacenti).
Nel 1968, abbandonati i baraccati (nei quali, per imprecisati motivi, non torneranno mai più), i due si stabiliscono a Madrid prima e a Roma poi. Pertanto, per almeno un paio d'anni, avranno gustato ancora la "vecchia" liturgia in latino, sia pure sempre più tradotta in spagnolo ed italiano.
Padre Pio da Pietrelcina, anni prima, aveva avuto da papa Paolo VI il privilegio personale di poter continuare a celebrare con il rito tradizionale anche dopo la promulgazione delle riforme (quindi padre Pio non utilizzò mai i messali pubblicati dopo il 1962). San Pio aveva già avuto modo di definire Kiko e Carmen «i nuovi falsi profeti». Due mesi dopo la sua morte (avvenuta nel settembre 1968) «i nuovi Falsi Profeti» calarono a Roma.
Nel 1968 la gerarchia cattolica aveva una gran quantità di gatte da pelare: era cominciato il... Sessantotto. Quelli che sembravano fermenti di rinnovamento, si rivelarono negli anni successivi come come elementi di crisi. Pertanto non fu data troppa importanza al movimento di Kiko e Carmen, che peraltro potevano vantare l'appoggio di don Dino Torreggiani (che aveva scritto una lettera al cardinal Dell'Acqua per farli insediare a Roma).
Finalmente nel dicembre 1970 entra in vigore la nuova liturgia, il rito ordinario che è in uso ancora oggi. Come già sappiamo, neppure questo bastò alle voglie liturgiche di Carmen e Kiko.
Ma di quegli anni in cui si va consolidando il "corpus" catechetico-liturgico del Cammino Neocatecumenale non abbiamo altre grandi testimonianze: l'espansione dev'essere avvenuta il più possibile nel segreto. Ai neocatecumenali piace solo ricordare la brevissima nota Praeclarum Exemplar del 1974, che dimostra soltanto che Kiko e Carmen avevano saputo "vendere" al cardinale Annibale Bugnini il loro strazio liturgico come se fosse la liturgia dei primi cristiani (Bugnini era notoriamente fautore della "creatività" nella liturgia, anche se papa Paolo VI non era d'accordo).
Si può essere certi che lo strazio liturgico del Cammino doveva essere già completo non più tardi dell'inizio del 1972, visti i continui e insistenti riferimenti presenti negli Orientamenti trascritti in quello stesso anno. Dunque, poco più di un anno dopo l'entrata in vigore della riforma liturgica, i neocatecumenali già avevano straziato anche la nuova liturgia appena approvata.
Dopo questa rapida carrellata, che evidenzia che nei primi anni del movimento di Kiko c'era ancora la liturgia "in latino", ci restano poche ipotesi su come sia nato lo strazio liturgico neocatecumenale.
Prima ipotesi: era tutto in nuce, era tutto già nella testa di Kiko fin dai tempi in cui con Bibbia e chitarra tentava di evangelizzare i poveri (esperienza poi chiusa definitivamente nel 1967). In questo caso, è inevitabile concludere che Kiko ha fondato un movimento protestante, alleandosi con una ex suora che non aveva particolarmente a cuore l'ortodossia della fede, tentando insieme fino ad oggi di innestare tale movimento nella Chiesa cattolica, per motivi che a me restano particolarmente oscuri.
Seconda ipotesi: i primi anni sono stati solo di Bibbia e chitarra, e la liturgia è venuta dopo, come "naturale" compimento dell'invenzione kikiana-carmeniana, almeno da quando ormai era chiaro che sarebbe arrivata la riforma liturgica. Solo che la riforma liturgica del 1970 sarà stata al più utilizzata come scusa per produrre una liturgia propria. E l'abisso che separa l'ortodossia della fede dagli insegnamenti kikiani-carmeniani, fa ritenere assai improbabile un inizio "ortodosso" ed una trasformazione in eresia alla fine degli anni sessanta.
Per cui propendo per la prima ipotesi, anche perché la Carmen aveva studiato liturgia presso teologi oggi dimenticati (e all'epoca noti solo per le loro posizioni controverse), ed anche per il fatto che la "sintesi kerigmatico-catechetica" (cioè "sintesi kikiano-carmeniana") è stata sempre vantata come se fosse un processo armonico e uniforme.
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