martedì 15 luglio 2008

Quel meccanismo perverso delle incardinazioni dei neocatecumenali

Lo scopo dei seminari "Redemptoris Mater" è anzitutto quello di formare dei preti ad uso e consumo del Cammino.

Ma tali seminari, con una bassezza veramente unica, vengono dichiarati "internazionali, diocesani e missionari".

In realtà, ciò vuol dire che:

internazionali significa che Kiko non può installarli dove gli fa comodo, e che deve trovare qualche vescovo che non faccia troppe storie (a costo di impiantarne, per esempio, in Pakistan e in Giappone, e chiamare "seminario" anche una casa di formazione con soli due o tre seminaristi in totale);

diocesani significa che "ammorbidendo" per bene il vescovo, si potrà far pagar alla diocesi buona parte delle spese del seminario (esempio: il seminario di Takamatsu, in Giappone, depredando i fondi di una piccola diocesi), col risultato che è il Cammino a trarre beneficio dalla diocesi (proprio il contrario di ciò che il Cammino dichiara);

missionari significa che i preti, una volta ordinati, seguiranno comunque le direttive del Cammino (esempio: il caso di Sidney, in Australia, dove i preti neocat che avevano maltrattato i fedeli sono stati comodamente mandati in "missione" in Nepal a fare altri danni ed impiantare e consolidare il Cammino anche lì).

C'è un altro trucchetto meschino che la dice lunga su quanto il Cammino Neocatecumenale sia il parassita della Chiesa cattolica.

I preti neocatecumenali vengono incardinati in diocesi di comodo, per far ottenere loro lo "stipendio". Non appena vengono iscritti all'istituto di sostentamento del clero (o equivalente estero), improvvisamente si volatilizzano.

La dinamica è chiara, per esempio, per il caso del don Carbonell citato nell'articolo. Di origini straniere (spagnolo, si presume), miracolosamente incardinato a Roma (con tanto di stipendio proveniente dai soldi dell'«otto per mille» del Vicariato dell'Urbe), e poi installato in Giappone a servire il Cammino formando dei preti neocatecumenali (che, come già visto negli articoli precedenti, in Giappone - come ovunque nel mondo - hanno saputo fare solo danni).

Ora, è proprio necessario mettere in secondo piano la pace di 460.000 fedeli giapponesi, pur di non chiudere un seminario che - a detta dell'intera conferenza episcopale giapponese - sta creando problemi non da venti giorni, ma da vent'anni?

Un seminario che in nome del "pizzetto" di Kiko non ha esitato a depredare fondi diocesani?

Un seminario fatto di gente che disobbedisce e si giustifica dicendo "il vescovo la pensa in modo diverso da noi"?

Un seminario che segue esclusivamente le direttive del Cammino, infischiandosene dei vescovi e delle divisioni laceranti che crea nelle diocesi?

Quel seminario potrebbe benissimo spostarsi altrove: perché non lo fa? Perché mai il Cammino ha così urgente bisogno di mantenere quell'avamposto? (sarà mica che i vescovi compiacenti scarseggiano? o è solo per orgoglio?)

Ed infine, caro cardinal B., può usarci la cortesia di spiegarci il valido motivo per cui le è parso più importante salvare il seminario dei parassiti disobbedienti, piuttosto che accontentare le legittime e documentatissime e disperate richieste di un'intera conferenza episcopale?